Presentazione Libro “DA OGGETTO DI INTERVENTO A SOGGETTO DELLA PROPRIA TRASFORMAZIONE” di Andrea Narracci.
Relazione di Alessandra Giacumbo
In data 23 ottobre 2021 si è tenuto, sulla piattaforma Zoom e a cura del Laboratorio Italiano di Psicoanalisi Multifamiliare (LIPsiM), un seminario sulla Terapia Multifamiliare in occasione della presentazione del libro “Da oggetto di intervento a soggetto della propria trasformazione. Per un coinvolgimento attivo di tutti i protagonisti della salute mentale: pazienti, familiari e operatori” di Andrea Narracci.
Andrea Narracci è psichiatra, psicoanalista e fondatore del LIPsiM. Come sottolinea il titolo del suo ultimo libro, nell’ambito della salute mentale è fondamentale considerare tutti gli attori coinvolti come dei partecipanti attivi al processo trasformativo: questo vale per i pazienti, per i familiari e anche per gli operatori. Alla base di questa idea, vi è sicuramente il fulcro della Psicoanalisi Multifamiliare.
Questo approccio è nato a Buenos Aires, grazie all’esperienza di Jorge Garcia Badaracco, psichiatra e psicoanalista. Badaracco è tornato, dopo aver lavorato lì in precedenza, nell’ospedale psichiatrico maschile della città, questa volta nel ruolo di supervisore. Egli si è reso conto di come i gruppi, composti perlopiù da pazienti psicotici, funzionassero. In seguito a ricadute di questi stessi pazienti, ha deciso di coinvolgere anche i familiari, oltre che gli operatori, per capire il motivo di quei peggioramenti. Così sono nati i gruppi “Multifamiliari”. All’interno di questi, i ruoli di pazienti, familiari e operatori erano caratterizzati dalla simmetria e dalla reciprocità.
A introdurci il metodo Multifamiliare è stata Claudia Tardugno (psicologa e psicoterapeuta, presidente del LIPsiM dal 2018), che ha ripercorso i passi fondamentali dell’approccio di Psicoanalisi Multifamiliare fino alla teorizzazione odierna. L’esperienza con i gruppi ha permesso a Badaracco di osservare che i temi legati alle difficoltà e alla malattia non si ritrovavano solo nei cosiddetti “pazienti designati” – che spesso sono i figli – ma anche nei familiari e quindi nei genitori. Un passo ulteriore è stato fatto constatando che spesso i figli assumevano un ruolo caricaturale: erano, infatti, la caricatura dei loro genitori. In questo quadro familiare, a unire mediante un legame simbiotico genitori e figli vi sono le “interdipendenza patogene e patologiche”. Il gruppo, con le sue regole e dinamiche, dà la possibilità di allentare questo legame così stretto: ad esempio, una delle regole fondamentali è quella per cui “ognuno parla per sé”, che ha il fine di dar voce al singolo e restituire a ognuno la propria identità. Inoltre, partendo dal presupposto per cui ogni individuo presenta una virtualità sana e che, probabilmente, il componente della famiglia che ha assunto i panni del paziente non si è trovato in un contesto supportivo, il gruppo permette di vivere un’esperienza nuova, caratterizzata da un clima di rispetto e accoglienza. In questo contesto è possibile riattivare la “memoria evidenziale” di ogni partecipante, che potrà rileggere la propria storia in chiave diversa, attraverso le storie degli altri; oppure cogliere nuovi modi di affrontare le difficoltà, sull’esempio delle altre famiglie coinvolte.
Il gruppo Multifamiliare potrebbe rappresentare la prima occasione in cui i pazienti vengono visti e ascoltati, finché non arrivano, sia i pazienti sia i familiari, a spogliarsi dell’identità fino ad allora assunta. Ognuno tornerà ad assumere i propri panni, a vestire la propria identità. È con questo passaggio cruciale, inoltre, che i pazienti, possono sentirsi sollevati dalle responsabilità di cura che avevano assunto, paradossalmente, nei confronti dei loro familiari.
A questo proposito è intervenuta, come ultima relatrice iscritta nel programma del seminario, dopo un excursus di testimonianze sul Metodo Multifamiliare in vari contesti, Maria Luisa Rainer, presidente di Psiche Lombardia e Familiare Esperto nella stessa associazione. Parlando della sua esperienza come partecipante ad un gruppo di Terapia Multifamiliare, Maria Luisa Rainer ci ha regalato un pezzo della sua storia, rappresentativo di quanto esposto fino a quel momento. Ad un certo punto del suo percorso, infatti, la svolta avvertita tanto da lei quanto da suo figlio si è verificata nel momento in cui la sofferenza della madre non era più a carico del figlio. Ognuno è stato rimesso al proprio ruolo e alle proprie responsabilità: i confini tra l’Io e l’altro erano più chiari e così venivano poste le basi per la “recovery”. Il raggiungimento di questo importante risultato, che è descritto nel libro di Andrea Narracci, è avvenuto attraverso vari passaggi successivi verso la consapevolezza del dolore che M.Luisa si portava dentro, passaggi avvenuti grazie alle osservazioni del figlio e degli altri partecipanti al gruppo, e che rispondevano alla domanda: che cosa vedono gli altri che io non vedo? M.Luisa ricorda per esempio che all’inizio dell’esperienza di Terapia Mulifamiliare, uscendo dalla riunione col figlio, lui le ha detto: “adesso che ho conosciuto i genitori dei miei compagni capisco bene le loro patologie”… Naturalmente da lì M.Luisa era tornata a casa confusa, con domande del tipo: a chi l’ha detto? a me! e che cosa vedono gli altri che io, anzi noi, non vediamo? che cosa ho messo sulle spalle dei miei figli ? Un altro passaggio importante è stato quando M.Luisa durante una riunione è scoppiata a piangere e il figlio ha reagito dicendo “finalmente mia mamma piange…”, parole che M.Luisa ha sentito non solo come “finalmente mia mamma puo’ piangere”, ma soprattutto come “finalmente mia mamma mi libera del pianto che ha dentro”. E da lì poi quel pianto si è fatto strada, grazie all’ascolto del gruppo, e ha trovato finalmente sfogo, fino al giorno in cui un lungo forte abbraccio liberatorio con il figlio ha sancito l’avvenuta separazione tra “che cosa è mio” e “che cosa è tuo”.