di Sara Carloni
‘Mamma, papà mi sono innamorata di una ragazza’. Una frase così breve e semplice ma così difficile da pronunciare ad alta voce per molte/i ragazze/i. Resta così sospesa, quasi come se non avesse il diritto di essere pensata e nemmeno sentita.
Chi/Cosa ci impedisce di pronunciare queste semplici parole? Chi/cosa ci nega il diritto di essere ciò che veramente siamo? Perché ci autocensuriamo? Secondo il modello del Minority Stress (Meyer, 1995), le persone che appartengono ad una minoranza (come gli omosessuali) subiscono ogni giorno, nella società in cui vivono, episodi di discriminazione di piccolo taglio ma dal grande impatto emotivo. Epiteti offensivi rivolti a uomini e donne omosessuali, comportamenti di ostracismo ed esclusione ecc., inducono la persona ad inossare uno stigma e ad aspettarsi di subire costantemente tali comportamenti discriminatori. Al fine di evitare tali episodi, il soggetto manterrà alta la propria vigilanza sull’ambiente nella speranza di cogliere gli antecedenti che ne precedono la messa in atto. Tenderanno a nascondere la propria identità, a negare sé stessi e ad evitare di esprimere interessi e/o mettere in atto comportamenti ritenuti non conformi al proprio genere, al fine di proteggersi da danni psicologici o fisici. Secondo il modello di Meyer, l’esito ultimo di questi processi è l’interiorizzazione dell’omofobia da parte del soggetto discriminato. Essa può essere più o meno consapevole ma in ogni caso la persona fa propri pensieri, pregiudizi, atteggiamenti discriminatori e sentimenti negativi che la società nutre verso l’omosessualità. Assistiamo così ad un paradosso: l’omosessuale che discrimina gli omosessuali. Tuttavia, ciò che questo comportamento paradossale sottende, è una grande sofferenza che ha un impatto enormemente dannoso sul benessere e sulla salute mentale della persona. L’omofobia interiorizzata infatti incide direttamente sull’immagine di sé e sulle strategie di coping, riducendo anche la resilienza che è necessaria per fronteggiare gli eventi negativi della vita di tutti i giorni.
La persona si sente sbagliata con conseguente sviluppo di bassa autostima, difficoltà relazionali, isolamento e autoesclusione sociale, sensi di
colpa e vergogna che possono esitare in sintomi di tipo depressivo o ansioso e all’estremo, in pensieri suicidari e attività ad alto rischio (ad
esempio, sesso non protetto o abuso di alcool e sostanze stupefacenti).
Una rassegna di studi di Livingstone & Boyd (2010) ha mostrato le forti relazioni negative tra l’omofobia interiorizzata e diverse variabili psicologiche, nonché diversi sintomi psichiatrici. Tra le variabili psicologiche, è stato rilevato che ad alti livelli di omofobia interiorizzata si associano bassi livelli di autostima, di speranza, senso di autoefficacia, bassa qualità della vita e di supporto sociale percepito. Per quanto riguarda le variabili psichiatriche, la review di studi ha evidenziato una relazione negativa tra omofobia interiorizzata e severità di sintomi psichiatrici, in particolare sintomi depressivi e ansiosi, nonché con l’aderenza agli specifici trattamenti di tali disturbi. Una ricerca italiana di Baiocco et al. (2014), condotta su partecipanti italiani e spagnoli, ha riscontrato anche come l’omofobia interiorizzata giochi un importante ruolo sull’ideazione suicidaria delle persone LGBT rispetto alle persone eterosessuali.
La psicoterapia può aiutare a vedere i pregiudizi che il soggetto ha metabolizzato nel corso della propria esistenza e che possono condizionare i
suoi pensieri e le sue scelte. È un bisogno umano quello di sentirsi riconosciuti dagli altri ma quando tale riconoscimento non ci viene concesso, negare ciò che siamo solo per corrispondere a ciò che gli altri vorrebbero che fossimo porta a grandi sofferenze. In tal senso la psicoterapia può aiutare a riconoscersi e a non provare più vergogna per ciò che siamo, restituendoci il diritto naturale di sentire e dire ‘Mamma, papà, mi sono innamorata di una ragazza’.