Caterina Tabasso, Luciana De Franco, Claudia Tardugno
Relazione presentata al 20th ISPS International Conference: Making real change happen. 30 Agosto – 3 Settembre 2017 – Liverpool, col titolo: “Multi-Family Psychoanalysis Group: how it works and its high potential for change for adults and adolescents”.
Sono molto contenta di presentare questo lavoro che Luciana De Franco, Claudia Tardugno ed io abbiamo scritto insieme, proprio dopo le presentazioni di Andrea e Katherine, perché facciamo tutti parte della stessa famiglia multifamiliare che lavora da anni con i gruppi multifamiliari secondo il modello di Jorge Garcia Badaracco.
In questo lavoro mi concentrerò su un gruppo di psicoanalisi multifamiliare che con le mie colleghe Luciana e Claudia abbiamo cominciato lo scorso inverno in uno dei servizi romani Tutela Adolescenza.
Descriverò l’esperienza attraverso la storia di alcuni partecipanti, in modo che possa rendere il più chiaro possibile – si spera- come funziona un gruppo multifamiliare. Cominciamo.
Emanuele ha 20 anni, frequenta il gruppo di psicoanalisi multifamiliare sin dalle prime sedute insieme a sua madre Liliana. Occasionalmente viene raggiunto anche dal padre. Non si sono finora visti i due fratelli di Emanuele, entrambi di pochi anni più giovani di lui.
Liliana dice di essere disperata perché Emanuele è svogliato, un ragazzo che “non sa che deve fare” nonostante il diploma da geometra, e che questo è l’unico difetto della sua vita, dal momento che per il resto quello tra lei e il marito è “un matrimonio perfetto”. Tanta perfezione in realtà è contraddetta da lei stessa un minuto dopo, quando racconta di sentirsi sopraffatta dal ménage familiare reso pesante “perché ci sono tre ragazzi per casa” e che le fa desiderare la fuga, o l’espulsione di qualcuno di loro, in particolare di Emanuele, rispetto al quale ci dice: “fosse per me lo manderei in Australia!”
Emanuele, nelle sue parole, è un ragazzo sempre perdente nel confronto con i fratelli e con gli amici, più bravi e prestanti rispetto a lui. Emanuele è di piccola statura, molto somigliante a lei.
La visione che Gianni, il padre, ha di Emanuele, non sembra molto diversa da quella della moglie, con in più l’idea insistente che Emanuele non sappia lavorare, che non ci riesca. Un paio d’anni prima Gianni ha organizzato la trasferta di Emanuele in un’altra zona d’Italia perché andasse a lavorare presso dei conoscenti. Emanuele è rimasto molto scosso dall’esperienza. Si è sentito troppo improvvisamente lontano dalla sua famiglia, e in un ambiente dove non è riuscito ad integrarsi: avere amici e ad andare d’accordo con i suoi colleghi ostili è stato impossibile. Gianni considera questo un vero proprio fallimento di Emanuele, e i dettagli sul suo prodigarsi perché il figlio lavorasse e i rimproveri e le raccomandazioni riempiono i suoi interventi, che sono spesso monotoni nel contenuto e anche nel tono, come se l’uomo parlasse ad un figlio più immaginato che reale, o come se parlasse con sé stesso. A volte, se non ha la parola, il padre di Emanuele si assopisce durante il gruppo.
Luca e Alessandro, i fratelli di Emanuele, anche se spesso invitati da Claudia, Luciana e me, come abbiamo detto non hanno finora mai partecipato al gruppo, ma sono costantemente evocati dai genitori, che li lodano e ammirano per tutte le loro attività sportive e di studio, e dallo stesso Emanuele, che li descrive prepotenti e provocatori, sempre pronti a scatenare la sua rabbia.
A un certo punto Emanuele racconta di aver sempre condiviso la camera con loro. Ha cercato di ricavare una camera per sé dormendo nel divano letto di un’altra stanza della casa per qualche mese, poi il divano si è rotto e non è mai stato sostituito e lui è tornato a condividere la camera coi fratelli, volentieri perché sottolinea: “non mi piaceva poi tanto star solo”. Nel frattempo il padre ha riempito la stanza col divano rotto con le sue amate biciclette, gli attrezzi per ripararle, e un numero sempre crescente di copie de “La Gazzetta dello Sport”, rendendola di fatto inagibile.
Quando parla di sé, Emanuele racconta che i suoi problemi sono cominciati a scuola per via del bullismo di alcuni compagni, e proseguiti più avanti a causa di una ragazza “che mi voleva solo prendere in giro”. Descrive la storia di un ragazzo e poi di un giovane uomo che ha imparato a sentirsi vittima, in un mondo che ha imparato a sentire sempre più ostile.
Seduta dopo seduta, emerge sempre più chiaramente come Emanuele fuori dalla sua famiglia intessa delle relazioni molto simili a quelle con i genitori e i fratelli, relazioni in cui è oggetto di sopruso, bersaglio delle frustrazioni dell’altro e così via. Un bullismo che più che accadere fuori casa, comincia subdolamente nei giochi di interdipendenze patologiche e patogene della famiglia e che inevitabilmente si ripete costante anche fuori.
Spesso Emanuele comincia i suoi racconti con “Io, che come tutte le persone buone sono anche tonto…”. Sembra infatti indossare pienamente le proiezioni di perdente che arrivano dai familiari e portarsele in giro, ma la cosa che ci colpisce è che parla di sé esattamente con lo stesso tono amareggiato e deluso di sua madre quando descrive sé stessa come sopraffatta dal lavoro domestico.
Le interdipendenze patologiche e patogene descritte da Badaracco hanno proprio questa caratteristica: bloccano le relazioni in ripetizioni sempre uguali e dolorose, ma al tempo stesso, impedendo il cambiamento ed individuando un malato, eliminano ogni incertezza e danno una paradossale rassicurazione. In questo caso specifico, la rassicurazione è fornita da Emanuele, che si occupa delle parti fragili dei genitori incarnandole in modo tipicamente caricaturale e svolgendo un ruolo importante nell’essere “l’unica cosa che non va del matrimonio perfetto” dei genitori. Senza neanche saperlo, Emanuele è il regolatore di un malessere che si esprime attraverso di lui ma che ha una storia ben più antica nelle trame familiari della sua famiglia e delle famiglie d’origine dei genitori.
Catturati dal racconto comunque vivace e accorato che sia Emanuele che sua madre fanno della situazione, gli altri partecipanti al gruppo si attivano su vari temi. Quello del bullismo è chiaramente per molti altri ragazzi motivo di immedesimazioni a più livelli, così come quello delle difficoltà scolastiche o nella vita amorosa. Padri, madri, figlie e figli vanno raccontandosi per somiglianza o contrasto con la storia di Emanuele, secondo il classico (per la PMF) principio del rispecchiamento metaforico: ascoltare ciò che succede a casa di qualcun altro, confrontarlo con ciò che succede a casa propria, attivare una riflessione che coinvolge profondamente la dimensione individuale, familiare e gruppale.
Fioccano le domande, i confronti, le altre storie. Un paio dei padri del gruppo raccontano ad Emanuele che anche loro avevano dei fratelli prepotenti, che anche loro avevano qualche difficoltà a farsi valere in famiglia. Uno in particolare intesse con Emanuele uno scambio interessante sull’importanza di vendere le sue carte Magic the Gathering (un gioco di ruolo attualmente molto popolare tra i ragazzi) al prezzo che lui vuole, raccontandogli che quando ha venduto la sua macchina ha dovuto impegnarsi per la stessa cosa. Un altro padre è intenerito dalla scoperta della comune passione per il Real Madrid (e potete immaginare la complicità scatenata da questo: due italiani che scoprono di tifare per la stessa squadra straniera…!). Una madre pensa a voce alta ragionando con Emanuele su sua figlia che non ha amici.
Claudia, Luciana e io facilitiamo il più possibile l’emersione del confronto in questo tipo scambi tra i partecipanti, dal momento che si attivano proprio così i transfert multipli. I transfert multipli sono tra le “molle” del funzionamento multifamiliare, e li possiamo vedere all’opera quando per esempio nel gruppo Emanuele ha uno scambio col padre di qualcun altro, e in quello scambio può elaborare temi propri della relazione tra lui e suo padre. O un qualunque altro partecipante può mettersi in dialogo con un altro, come se stesse parlando con suo figlio, sua madre, suo fratello, perché qualcosa del vissuto del suo interlocutore lo fa sentire come in quell’altra relazione, sulla quale si ritrova direttamente ed indirettamente a lavorare. Gli scambi del GPMF sono quindi contemporaneamente metaforici eppure autentici, accadono nel qui ed ora e anche rimandano ad un’altra dimensione profonda.
Una volta che gli operatori riescono a consolidare e garantire nel gruppo un clima di rispetto e sicurezza sufficienti, i processi di rispecchiamento metaforico e transfert multipli accadono spontaneamente, senza che i partecipanti abbiano bisogno di sapere consapevolmente che sono in atto. Come dice Badaracco, tutto avviene “in vivo ed in diretta”, vale a dire che gli spettatori dei transfert multipli ne sono gli stessi protagonisti, dunque la riflessione come già detto avviene contemporaneamente a più livelli, sia per i singoli che per l’intero gruppo.
Attraverso questi passaggi, attivati dal progressivo scivolare del gruppo verso un funzionamento basato non più su un processo secondario logico-cosciente ma su un processo primario, incardinato su associazioni libere e quindi profonde, il gruppo entra in una fase di “mente ampliada”, in cui la riflessione si concentra sempre meglio sui temi che vanno distillandosi e sintetizzandosi, rendendosi sempre più condivisa e fruibile da tutti partecipanti.
Un giorno Emanuele arriva al gruppo da solo. Dice che sua madre sta parcheggiando, che sta per arrivare, ma che è meglio che non ci sia mentre lui racconta cosa è accaduto nei giorni precedenti: Liliana è troppo arrabbiata per ascoltare il resoconto di nuovo.
Claudia esorta Emanuele a cominciare subito, dunque.
Emanuele ci racconta che la settimana precedente, felice perché dopo che il gruppo lo aveva sostenuto nella trattativa che doveva affrontare con un coetaneo per la vendita di alcune carte del gioco “Magic the Gathering” delle quali voleva disfarsi aveva in effetti concluso l’affare al prezzo che lui aveva deciso, aveva reinvestito i soldi nell’acquisto di tre semi di cannabis, che aveva poi piantato in dei bicchieri lasciati nel bagno di casa, ed immancabilmente scoperti dalla madre. Liliana, nel frattempo arrivata al gruppo, giudica l’intera faccenda come “abominevole” (sic), ed è così arrabbiata da fare fatica ad esprimersi. Emanuele dice che sapeva che sua madre l’avrebbe scoperto.
Nel frattempo nel gruppo si intrecciano racconti di altri partecipanti che vedono la cosa in vari modi, che raccontano del loro contatto con le sostanze, o di persone a loro vicine, o che in effetti vanno chiedendosi come regolarsi per situazioni che riguardino lo stesso tema, e molti tra i ragazzi sono curiosi di capire l’investimento di Emanuele.
L’immagine de “l’abominevole Emanuele”, sicuramente destinato a diventare un pericoloso pusher trasmessa dall’angoscia della madre fa sorridere alcuni di noi, Claudia, Luciana e me comprese, e Luciana ed io facciamo qualche domanda su che cosa sia “abominevole”… l’immagine quindi pian piano va cambiando: da quella di un Emanuele che un po’ voleva farsi beccare per essere visto in una nuova veste come suggerisce una di noi, a quella di un ragazzo che dopo essersi sentito “bloccato”, sta nelle ultime settimane iniziando a muoversi in direzioni diverse, fino all’elaborazione di una delle partecipanti che suggerisce che la madre di Emanuele sia così scandalizzata proprio perché intuisce non solo i rischi per il figlio, ma anche la sua possibilità di successo.
Il cambiamento di Emanuele negli ultimi appuntamenti ed in questo in particolare mentre gestisce lo scambio con la madre ed il resto del gruppo è piuttosto evidente, e Luciana non manca di dirglielo francamente: è abbastanza rilassato, più attento a spiegarsi ed essere capito che a difendersi, contento di raccontare che nel frattempo ha ripreso a fare sport in modo regolare, a uscire di casa spesso…e a incontrare amici, con i quali ha idee più o meno buone!
È evidente che il gioco di transfert multipli ha consentito ad Emanuele e a sua madre, così come alle altre famiglie del gruppo, di parlare con “altri” Emanuele e “altre” Liliana, così come di trovare altri padri e altri fratelli ai quali dire e farsi dire, e chiedere e farsi chiedere le cose che finora non è stato possibile dire e chiedere a casa con chiarezza. Cose che forse ora possono cominciare ad entrare nelle comunicazioni in famiglia, raggiungendo di riflesso anche chi al gruppo non arriva, come i fratelli di Emanuele. Non vediamo l’ora di ricominciare il gruppo dopo le vacanze estive, fra qualche settimana, e di sentire come sono andate le cose nel frattempo.
L’aspetto di novità che il GPMF ha costituito per le famiglie coinvolte nella fondazione del gruppo, in realtà è comune anche al nostro gruppo di operatori: provenendo da anni di gruppi condotti con famiglie di adulti, ci ha colpito la qualità emotiva che abbiamo incontrato nei gruppi svolti nel Servizio Tutela Adolescenza, la viva curiosità dei ragazzi e la genuina domanda d’aiuto dei genitori: le famiglie che abbiamo incontrato sono per loro fortuna abbastanza lontane dalla rabbia e la depressione date dal cronicizzarsi dei sintomi e degli assetti familiari tipici che abbiamo incontrato nelle famiglie con pazienti con una storia medio-lunga di sofferenza. Negli ultimi dieci anni, abbiamo imparato a conoscere i GPMF come uno strumento di intervento profondo su chiunque vi partecipi.
Nel caso delle famiglie con adolescenti, possiamo osservare questo strumento al lavoro in un intervento più precoce, così che far concentrare i membri delle famiglie su “come stiamo, perché siamo in questo disagio e come vorremmo cambiare” sono gli aspetti tanto ovvi di una possibilità di prevenzione quanto cruciali nella sua applicazione.
Nel caso delle famiglie di adulti, abbiamo spesso assistito al racconto di vere e proprie mitologie familiari che includevano quelle che per la famiglia erano le ragioni più o meno fantasiose o realistiche della pazzia del figlio o genitore o fratello. In un caso erano dei frutti di mare crudi mangiati dalla madre durante la gravidanza, in un altro l’assenza del padre, in un altro ancora la nascita dei fratelli…molte versioni conducevano ad un risultato unico che era l’etichettamento di uno dei membri come “pazzo”.
Nei racconti delle famiglie del gruppo con adolescenti assistiamo proprio alla costruzione di queste mitologie. Abbiamo notato che lo specifico tipo di “conversazione” che accade nel gruppo è capace di smantellare la costruzione di queste mitologie, attraverso il progressivo scioglimento degli aspetti simbiotici e caricaturali delle interdipendenze.
Uno dei modi in cui questa costruzione avviene è leggere gli eventi esterni alla famiglia (scuola, professori, bulli) come determinanti dei problemi nel percorso del ragazzo (ad esempio, il sentirsi sempre vittima di amici e ragazze di Emanuele). Invitare il gruppo a farsi domande sulla storia familiare, sui vissuti dei genitori con i loro genitori, abbiamo visto che attiva una riflessione su “cosa succede dentro casa” e “cosa è successo nella storia della famiglia” e anche su “di che cosa ho bisogno ora”, importante perché capace di ridotare di senso le situazioni, e quindi di prospettiva i desideri e i cambiamenti di ciascun partecipante.