di Valentina Farinaccio
In treno, un ragazzo molto giovane, che da Milano sta andando a Napoli, si sente male. Carrozza numero 6, posto accanto al mio ma oltre il corridoio. Chiamano un medico, la prima dottoressa che si presenta è una neurologa. Ne arrivano altri due, subito dopo, ma ormai c’è lei, chinata sul ragazzo. È un attacco di panico. Gli misura la pressione, leggermente alta. Questo ragazzo ha paura di morire, “ho paura che sia un infarto”, continua a ripetere. Il capotreno, che su Italo si chiama Train Manager – ma è una situazione troppo d’emergenza per chiamarlo Train Manager -, gli tiene forte la mano, gli chiede se vuole che si fermi a Bologna. Lui, il ragazzo, vorrebbe scendere, ma la dottoressa dice che non serve, che ce la può fare ad arrivare a casa “A patto che lei s’impegni a fare arrivare il treno in orario, eh”, rivolta al capotreno. E dal vagone parte un timido applauso, che fa fare al ragazzo un primo impercettibile sorriso. La dottoressa lo fa respirare e contare, contare e respirare, lo fanno insieme, lui piano piano si calma, il cuore sta smettendo di fare le corse, gli si legge in faccia. La dottoressa lo abbraccia, gli parla, cosa studi, come ti chiami, gli racconta che lei ha dei nipotini, gli offre della frutta secca, gli dice che dovrebbe prendere degli integratori, e imparare bene l’inglese, lo parli l’inglese? Intanto, Francesco non molla la presa. Vuole che il Train Manager non vada via. Vuole che resti con lui. Perché vuole potersi fermare all’occorrenza, ha ancora paura. La dottoressa deve andare ad avvisare il marito, in un’altra carrozza, del fatto che il paziente è vivo e che lei continuerà il viaggio con noi, qui. Appena la dottoressa si allontana (lo fa per 3 minuti scarsi), una signora, da due posti dietro, viene a sedersi accanto a Francesco: “Così ti faccio compagnia e comunque puoi stare tranquillo, succede spesso anche a mia figlia. Adesso passa!”. “E se non passa?”, chiede il ragazzo. “E se non passa io sono un prete!”, urla qualcuno da tre file più in là. E scoppiamo tutti a ridere. “Se è per questo io sono un rabbino, non si sa mai!”, dice il mio dirimpettaio. E di nuovo tutti a ridere. Il rabbino è bellissimo, ma questo non c’entra. La dottoressa sta parlando al telefono col padre del ragazzo, la dottoressa si sta incazzando: “Il genitore dovrebbe trasmettere tranquillità, non ansia. Le sto dicendo che non si deve preoccupare, Francesco ha avuto solo un momento di agitazione”, ma lui vuole parlare di nuovo col figlio e capiamo che gli sta chiedendo E se succede di nuovo? dal fatto che Francesco gli sta rispondendo Ma perché mi dovrebbe succedere di nuovo? Ti prego calmati, stai sereno, papone, rilassati. E ora è Francesco che deve tranquillizzare il padre. Che esige il numero della dottoressa. Nei cui occhi c’è la prima ombra di preoccupazione: e ci credo che ti vengono gli attacchi di panico con questo padre, figlio mio. Lo pensa, ma resta zitta.
Dietro di me, il signore con la voce più alta della storia sta organizzando la cena per i 50 anni di un amico. Si va da Pappa e Ciccia, perché là se magna bene. Per il regalo che famo? Famo ognuno per conto suo? La dottoressa continua a parlare con Francesco. Francesco che si rilassa cucinando risotti, che non è bravo in geografia e che chiede scusa continuamente. Il prete sta pregando, il Rabbino sta studiando. Io sto scrivendo questo post. Nessuno chiederà mai se c’è una scrittrice a bordo.
Il treno viaggia in orario.