Venerdì 23 e sabato 24 ottobre si è svolto il Congresso nazionale ISPS 2020, società internazionale per l’approccio psicologico e sociale alla psicosi. L’istituto si caratterizza per il coinvolgimento su un piano di assoluta parità ed equità, dei pazienti, dei familiari, dei professionisti della Sanità, e anche delle figure intermedie come pazienti divenuti a loro volta terapeuti.
Avevamo partecipato qualche anno fa in qualità di spettatori, ma quest’anno è stato diverso, la dottoressa Caterina Tabasso, che faceva parte del comitato scientifico del congresso, e che da settembre conduce il gruppo Paideia2 e anche, insieme con la dottoressa Silvia Rivolta, il gruppo Paideia di Arcore, mi ha proposto di fare un intervento: io non mi sono tirata indietro perché ritenevo fosse utile per far conoscere la qualità del lavoro che facciamo.
Durante i due giorni del congresso abbiamo sentito parlare di tanti approcci innovativi alla malattia mentale, tra cui il Dialogo aperto e i Gruppi multifamiliari a cui hanno riservato una parte importante.
Il nostro turno è arrivato sabato 24 nel pomeriggio, verso la fine dei lavori. Dopo una breve introduzione di Silvia Rivolta, ho raccontato la mia storia di mamma di due ragazzi problematici. Ho descritto le varie fasi del mio cammino, a partire dalla scoperta della malattia mentale, proseguendo con la ricerca di aiuto nel 2002 presso l’associazione Psiche Lombardia e il mio percorso nel gruppo di familiari Paideia condotto dal dott. Gianni Bigo e durato cinque anni. Ho raccontato di quando un giorno sono arrivata in sede con una precisa domanda, cioè di poter far partecipare al gruppo anche i miei figli, domanda che non ha trovato risposta perché nessun altro del gruppo sentiva lo stesso bisogno. Poi, dopo qualche anno, la dottoressa Silvia Rivolta ha organizzato un gruppo di terapia multifamiliare nella comunità che ospitava mio figlio, e io ho accolto con entusiasmo la nuova proposta perché rispondeva a un’esigenza che avevo dentro da tempo. Come testimoniato anche da mio figlio, abbiamo lavorato insieme verso una reciproca libertà, cercando la giusta distanza, approfondendo la nostra conoscenza e sciogliendo nodi di vecchi rancori e sensi di colpa, aiutati dalla presenza di altri pazienti e familiari in una relazione di parità e di rispetto. Il mio racconto è stato concluso da Caterina Tabasso, rivolgendosi agli addetti ai lavori.
Dopo queste esperienze positive ho chiesto al nostro gruppo Paideia di Arcore se voleva intraprendere un percorso simile, ed è quello che stiamo sperimentando con impegno da parte di tutti, impegno ricompensato da grandi emozioni.
Aggiungo che a conclusione dei lavori, con mia grande sorpresa, il mio intervento è stato citato come uno dei piu’ significativi del congresso.
Maria Luisa Rainer