di M.Luisa Rainer
Ho avuto il primo impatto con la malattia mentale, di cui mai avevo sentito parlare, quando mi sono dovuta rendere conto, circa vent’anni fa, che uno dei miei due figli delirava. La mia prima reazione è stata di sgomento, paura, non capivo che cosa stesse succedendo ad un ragazzo che ritenevo generoso e pieno di risorse. Di li’ a poco c’è stato il primo ricovero e quando l’ho visto in reparto, sedato e spersonalizzato, lo sgomento è diventato angoscia, e subito ho giurato a me stessa che avrei fatto qualunque cosa per aiutarlo a stare bene.
E’ stato un cammino lungo e difficile, è passato attraverso il rifiuto di farmaci e psichiatri, vari ricoveri in SPDC e ripetute fughe da comunità terapeutiche…
Io intanto ho condiviso con amici e parenti le difficoltà che stavamo vivendo, e questo mi ha permesso di accettare il loro aiuto e il consiglio di rivolgermi all’associazione Psiche Lombardia, la quale si propone di dare supporto ai famigliari di malati psichici. Ho partecipato ad un gruppo di psicoterapia, che mi ha aiutato non solo a risolvere problemi pratici e a rispondere a domande impellenti del tipo “e adesso che cosa faccio?”, ma anche a sentirmi in diritto di vivere la mia vita per quanto possibile e a prendermi i miei spazi al di là della malattia di mio figlio.
A un certo punto di questo percorso, durato cinque anni, ho sentito il bisogno di chiedere al gruppo di poter invitare i miei figli, per condividere anche con loro il mio percorso, forse con il desiderio di cambiare la nostra relazione rendendola più’ profonda. Non se n’è fatto niente, perché sembrava essere un’esigenza solo mia, ma una nuova occasione si è presentata quando la dott.ssa Silvia Rivolta, che dirige la CT dove era ospite mio figlio, ha proposto ai familiari di partecipare ad un gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare, proposta cui ho aderito con entusiasmo perché rispondeva ad una domanda che avevo già dentro da tempo.
Il Gruppo Multifamiliare mi ha dato subito la sensazione che fossimo tutti nella stessa barca, con pari dignità: non c’era nessuno che “sapeva” e nessun altro che “imparava”, tutti imparavamo dagli altri cose che riguardavano anche noi, e soprattutto non c’era differenza tra “sani” e “malati”. Cosi’ ho imparato a non avere più paura della malattia mentale ma a considerarla il risultato di vissuti dolorosi di qualcuno in famiglia, e mio figlio e io abbiamo imparato a guardarci come persone che si vogliono bene e non solo come coppia madre-figlio, prendendo gradualmente una distanza giusta per entrambi. Grazie a questo percorso abbiamo risolto i nodi di vecchi rancori e sensi di colpa e finalmente, pian piano, sono emersi da non so dove i miei dolori più antichi e insopportabili, che avevo tenuto nascosti con l’alibi di non volerli far pesare sui figli. Ho così finalmente avuto l’opportunità di condividerli e di rispondere cosi’ alla dolorosa domanda, sempre latente da quando ho scoperto la malattia mentale: “che cosa ho messo sulle spalle dei miei figli?”. Un lungo abbraccio liberatorio con mio figlio mi ha permesso da quel momento di vivere in modo più sereno, e in seguito lui ha riconosciuto che la strada verso la guarigione l’abbiamo fatta insieme. Oggi vive in un appartamento protetto insieme con altri pazienti, e sta bene.
In passato ho fatto una formazione per il ruolo di “familiare esperta”, per affiancare il terapeuta nei gruppi di terapia per famigliari, ma adesso sento di volermi liberare di quel ruolo per partecipare ad un gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare che, insieme con le dott.sse Caterina Tabasso e Silvia Rivolta, abbiamo iniziato nell’associazione Psiche Lombardia a partire da un gruppo di terapia per soli famigliari, per tornare a essere semplicemente una partecipante al gruppo con le sue difficoltà, come tutti.
Leggendo la pubblicazione di Andrea Narracci ho ritrovato molto della mia esperienza, per esempio riguardo il poco ascolto del mio punto di vista da parte dei servizi psichiatrici e anche la loro scarsa considerazione rispetto ai vissuti e ai bisogni di mio figlio: mi sembrava che fosse diventato un pezzo di un rigido ingranaggio. Viceversa nel gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare mi ha subito colpito la situazione di parità tra terapeuti e pazienti che finalmente gli restituiva dignità, e il coinvolgimento emotivo degli operatori con cui mi lega ormai un profondo affetto. Ho percepito anche il rispecchiamento nei vissuti degli altri, ho sentito più’ volte che li’ ero mamma non solo di mio figlio ma anche di altri figli, e ho ritrovato il fatto che la sofferenza di un figlio è l’espressione di dolori inespressi e non risolti dei genitori nella loro famiglia di origine, e questo dà la speranza in una possibile guarigione.
di M.Luisa Rainer, Presidente della APS Psiche Lombardia e familiare di un utente dei servizi psichiatrici