Una strage silenziosa
Rimini. Ci sono tante fotografie con tante storie. Storie di persone recluse in celle e in sé stesse, di genitori e di figli, di uomini e donne. L’editore mi dà in mano il libro che sta per presentare. Apro casualmente una pagina e trovo la fotografia in bianco e nero di un uomo incappucciato che fuma appoggiato ad un muro. Di fianco Christian scrive: “quest’immagine mi fa pensare alla solitudine, quando sto solo penso al peso che mi porto dietro e che mi porterò dietro finchè non sarò dentro una bara”. Mi commuovo. Capisco benissimo Christian e la sua solitudine perché l’ho provata anche io. Volto pagina e c’è il profilo di un uomo in primo piano, completamente in ombra. Francesco scrive: “secondo me il fotografo è uno che nella vita ha sofferto ed è molto triste”. E allora mi chiedo se l’unica cosa che ci differenzia sia il modo in cui decidiamo di affrontarlo il dolore. Dentro o fuori. Il carcere riporta dentro ciò che è sempre stato fuori, costringendo chi ha sempre agito al di fuori di sé a guardare dentro di sé, forse per la prima volta. Il 2022 è stato definito l’annus horribilis con 85 suicidi accertati nelle carceri italiane. Nel 2023 sono state 70 le persone che si sono tolte la vita e da gennaio 2024 ad aprile siamo già a quota 30. Uno ogni tre giorni e mezzo. Una strage silenziosa.
Volto un’altra pagina. C’è un bambino avvolto dall’abbraccio di sua madre. Appena sotto Fabiana scrive: “questo mi ricorda quando io e mia mamma ci siamo separate. Mio padre abusò di me quando avevo sei anni. Mia madre era al nono mese di gravidanza e mi difese. Lui la picchiò tanto da perdere il bambino. Da allora ha avuto problemi psicologici”. Studi internazionali hanno appurato che esiste una strettissima relazione fra malattia mentale e carcere, dove i disturbi diagnosticati costituiscono circa il 44% e sono, nella maggior parte dei casi, ansia, depressione o gravi disturbi psicotici (Bronson & Berzofsky, 2017; Steiner et al., 2014; Houser & Belenko, 2015). Le carceri ospitano oggi un numero di persone con problemi psicologici che è quasi dieci volte superiore a quello degli ospedali psichiatrici. Tra i sintomi della malattia mentale, infatti, ci sono spesso comportamenti violenti, agiti fuori o su di sé. Ad oggi la lista d’attesa per accedere alle REMS conta 670-750 persone. Problemi sociali di questa portata e conflitti generati dalla radicalizzazione penitenziaria e dall’alto livello di recidivismo, non possono lasciarmi indifferente. Mi domando se tutto ciò mi riguarda.
Volto un’altra pagina e Giuseppe scrive: “Se rimanevo bambino tutto quello che ho combinato non lo facevo. Se non avessi fatto quello sbaglio, dove sarei ora? Mi misi le mani in faccia e mi chiesi cosa mi fosse successo”. Allora penso all’innocenza di quel bambino che mi resta addosso, pur essendo lui oggi un adulto colpevole davanti alla legge. Volto una pagina. E un’altra ancora. Leggo le parole scritte a penna di madri, padri, donne, adolescenti, adulti, come lettere destinate a chi è rimasto fuori perché ha avuto la forza di guardarsi dentro e occuparsi del proprio dolore. Non mi sento più così distante da Christian, Francesco, Fabiana, Giuseppe. La domanda che nasce in me è se noi, come esseri umani, abbiamo fatto per loro (e per noi) tutto il possibile?
Sara Carloni
“Everyday Shoes” Guido Gazzilli, Ludovica Rosi (2024), NFC edizioni.
Bronson J., & Berzofsky, M. (2017). Indicators of mental health problems reported by prisoners and jail inmates, 2011-12.
Felson, R. B., Silver, E., & Remster, B. (2012). Mental disorder and offending in prison. Criminal justice and behavior, 39(2), 125-143
http://www.stateofmind.ita/2022/02/carcere-malattia-mentale/